Gli albori del cristianesimo

NEL MONDO DEI PRIMI CRISTIANI

"Cos'era in realtà l'eresia cristiana? E, per rimanere in argomento, cos'era la Chiesa? Molto di ciò che noi sappiamo della storia primitiva del cristianesimo proviene dagli scritti del vescovo Eusebio di Cesarea del quarto secolo. Sotto molti aspetti Eusebio era uno storico coscienzioso, ed aveva accesso a moltissime fonti che poi sono scomparse. Ma egli credeva, ed era perciò suo interesse dimostrarlo con prove convincenti, che una Chiesa Cristiana, basata sulla pienezza degli insegnamenti di Cristo e con l'autorità divina di difenderli, era stata fondata sin dall'inizio da Gesù, ed era quindi stata solidamente stabilita dalla prima generazione degli apostoli. Inoltre, esso era riuscito a sopravvivere vittorioso ai tentativi di diversi eretici di corromperlo, e ne era uscito integro nel passaggio da una generazione all'altra. Questo è un punto di vista chiaramente ideologico. Eusebio rappresentava quella parte della Chiesa che si era impadronita del potere, aveva stabilito una salda tradizione di vescovi monarchici e si era infine alleata con lo stato romano. Il suo intento era di mostrare che la Chiesa che egli rappresentava era sempre stata la rappresentante legittima del Cristianesimo, sia dal punto di vista organizzativo che fideistico. Ma la verità è tutt'altra. Abbiamo già visto che coloro ai quali Gesù aveva affidato la sua missione, e cioè i componenti della Chiesa di Gerusalemme, non si erano attenuti fedelmente ai suoi insegnamenti, e cercavano di ritornare nuovamente al Giudaismo prima che esso scomparisse del tutto e che i suoi seguaci alla fine fossero bollati come eretici. La cristologia di Paolo, che in seguito divenne la sostanza della fede universale cristiana, ebbe origine dalla diaspora, ed era predicata da un estraneo che molti nella chiesa di Gerusalemme non consideravano nemmeno un apostolo. Il cristianesimo cominciò fra la confusione, le controversie e gli scismi e continuò così. Una chiesa dominante ortodossa, con una ben definita struttura ecclesiastica emerse solo gradualmente e rappresentò un processo di selezione naturale -- la sopravvivenza spirituale dei più adatti. E, con tutte le sue lotte intestine, essa non fu particolarmente edificante. Il riferimento darwiniano è appropriato: Nel primo e nel secondo secolo d.C. il Mediterraneo centrale e orientale brulicava di un'infinità di ideologie religiose che lottavano per affermarsi. Ogni movimento religioso era instabile e con tendenze scismatiche; e questi culti non solo si separavano e si riassemblavano in nuove in forme. Un culto doveva lottare non solo per sopravvivere ma anche per mantenere la propria identità. Gesù aveva lasciato delle tracce e un preciso contesto che si diffuse rapidamente in una vasta area geografica. I seguaci di Gesù sin dal principio erano divisi sia sugli elementi della fede che della pratica. E man mano che essi si allontanavano dalla base, era sempre più probabile che i loro insegnamenti divergessero. Controllarli richiedeva un'organizzazione ecclesiastica. A Gerusalemme vi erano i 'capi' e le 'colonne' che vagamente provvedevano delle indicazioni modellate sulla pratica giudaica. Ma erano inefficaci. Il Concilio di Gerusalemme fu un fallimento. Viene raccontato come un accordo, ma in effetti non funzionò. Paolo non poteva essere controllato. Né, presumibilmente, nemmeno gli altri. Né le cosiddette 'colonne' erano in grado di far valere la loro autorità nemmeno a Gerusalemme. Essi ripiegarono nuovamente sul giudaismo. Quindi arrivò la catastrofe degli anni 66-70, e con essa scomparve l'organizzazione centrale della chiesa.

... Stabilito questo, era inevitabile che la chiesa si espandesse non come un movimento uniforme ma come una raccolta di eterodossie. O, forse, 'eterodossia' è un termine inappropriato, poiché implica che ve ne fosse una versione ortodossa. In effetti ortodosso, con il trascorrere del tempo, divenne il sistema paolino, ma le altre versioni cristiane che si diffusero a partire da Gerusalemme non erano sue deviazioni, bensì si evolsero indipendentemente. [Qui riprende la citazione della rivista che indichiamo con la sottolineatura] Dall'inizio, quindi, vi furono molte varietà di cristiane-simo, che avevano ben poco in comune, sebbene esse ruotassero tutte intorno all'idea della resurrezione. Esse erano caratterizzate da due cose: le tradizioni orali individuali, che infine si riversarono in quelli che noi conosciamo come 'vangeli'; e, in stretto collegamento, il richiamo a una suc-cessione apostolica. Ogni chiesa aveva la sua personale 'storia di Gesù'; e ciascuna era stata fon-data da uno del gruppo originale che aveva imposto le mani sul suo successore e così via. L'elemento più importante di queste chiese primitive era l'albero genealogico della verità." (Storia del Cristianesimo - Paul  Johnson

Quando Johnson parla di un "cristianesimo che cominciò fra la confusione, le controversie e gli scismi", non sta parlando del periodo che va dalla fine del secondo secolo in poi; no, egli sta parlando del cristianesimo di Paolo, di Pietro, di Giacomo, di Giovanni; sta parlando del primo secolo nella sua parte che va dagli anni trenta (data della morte di Cristo) agli anni cinquanta (inizio della predicazione di Paolo), per confermare che già nel 98 E.V. era ormai da decenni che la chiesa cristiana si era divisa in innumerevoli rivoli in cerca di un'identità dottrinale e organizzativa che avrebbe visto la luce solo più tardi. Una chiesa nella quale lo stesso Paolo denunciava lacerazioni e scismi (1° Corinti 1:12, 13); una chiesa nella quale due dei suoi rappresentanti più illustri la pensavano in modo diametralmente opposto in merito alla fondamentale dottrina della giustificazione. Vi è infatti chi, come l'autore della Lettera di Giacomo (2:14-16, 24), critica la dottrina paolina della giustificazione per fede (Romani 3:28), sottolineando l'importanza delle opere, e chi, come l'autore della Seconda Lettera di Pietro (3:15-16), sottolinea le difficoltà del pensiero di Paolo, dicendo che: "Come in tutte le lettere in cui parla di questi argomenti, ci sono punti difficili da ca-pire". Probabilmente è anche per questo che Paolo è intollerante verso chi non segue il suo pensiero, che a volte è tortuoso e poco comprensibile, e quindi si scaglia contro di loro quando definisce alcuni "super apostoli" o "sommi inviati", o "apostoli sopraffini", evidentemente in senso ironico e sarcastico (2° Corinti 11:5). La realtà della chiesa della prima metà del I secolo è quella di una comunità che è alla ricerca di un'identità e quindi resa vivace da continui confronti dottrinali. Giuseppe Barbaglio, per esempio, così tratteggia un profilo dello scrittore più prolifico: Paolo:

"Il panorama messo in luce dalle lettere paoline appare invece contrassegnato da contrasti, rivalità, contestazioni, polemiche, scontri senza esclusione di colpi. In concreto, sul campo di battaglia si fronteggiarono missionari cristiani di opposto orientamento. Se già nella prima lettera ai Corinzi Paolo appare sulla difensiva (cf. 9, 1 ss e 15, 1 ss), il tono sale sino a toccare vertici di violenza inaudita nella seconda lettera ai Corinzi, nell'epistola ai Galati, nel capitolo 3 della lettera ai Filippesi e persino in un brevissimo brano della lettera ai Romani (16, 17-20). Egli si difende e nello stesso tempo attacca, rispondendo colpo su colpo. Il suo temperamento sanguigno ha così modo di rivelarsi appieno. Di conseguenza a scapitarne è l'esatto profilo dei suoi oppositori, confinati sprezzantemente nel limbo dell'anonimato e bollati senza mezzi termini come eretici, meritevoli di condanna inappellabile e destinati al fuoco eterno". (Giuseppe Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, Cittadella Editrice. 1989, pp. 142-144).

Non uniformità dottrinale, quindi, e nemmeno organizzativa; ma il ritratto vivido di una comunità dinamica, in continua evoluzione, che si interroga su tutto, a cominciare dalla figura di Cristo, presentato in maniera diversissima nei Sinottici in confronto al Quarto Vangelo, per continuare sui contrasti riguardanti la resurrezione, la parusia, il destino degli empi, i rapporti con i giudaizzanti e gli ellenisti, la stessa autorità apostolica di Paolo che lancia scomuniche a destra e a manca a chi non la pensa come lui. Un quadro quindi che non è quello della comunità dei secoli successivi al primo, come alcuni dicono si sviluppò l'apostasia, ma della comunità apostolica, nella quale apostoli contro apostoli, cristiani giudei e cristiani greci, correnti di pensiero divergenti fra Paolo e Giacomo, e così via, sono all'ordine del giorno, e che quindi smentisce l'idea idilliaca e irrealistica di una chiesa concorde a fraterna fino al 98 E.V., che poi, per colpa dei "Padri della Chiesa", precipita nell'apostasia per i successivi diciotto secoli. Una chiesa dominante ortodossa, con una ben definita struttura ecclesiastica emerse solo gradualmente e rappresentò un processo di selezione naturale -- la sopravvivenza spirituale dei più adatti. Il riferimento darwiniano è appropriato; il che vuol dire che non esiste l'apostasia nel senso che le chiese dell'antichità e i nuovi movimenti religiosi intendono; esiste, piuttosto, un'evoluzione del pensiero e una riflessione sui temi più significativi della nuova fede che portò a varie correnti interpretative. È ovvio che ognuna delle chiese primitive, quelle fondate da Paolo, quelle di Pietro, quelle fedeli a Giacomo e a Giovanni, ritenevano ogni allontanamento dalla loro interpretazione del messaggio di Gesù un'eresia e su di essa lanciavano i loro strali, come fa ripetutamente Paolo nelle sue lettere quando maledice chi diffonde un vangelo diverso dal suo anche se portato da un angelo (Galati 1:6-9).

© 2018 Antonio Giannelli. Tutti i diritti riservati.
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia